Riflessioni sul congresso del Pd Siciliano
Il titolo di questi appunti rischia di apparire ambizioso, soprattutto di fronte al momento desolante che stiamo vivendo: l’egemonia della destra ovunque volgiamo lo sguardo e l’orizzonte di guerra nel quale siamo immersi ci obbligano a non perdere tempo con le piccinerie che dominano il dibattito interno del PD siciliano. Tuttavia, un po’ di chiarezza e schiena dritta sono necessarie: per non ripetere sempre gli stessi errori, qualcuno deve assumersi la responsabilità, almeno, di indicarli.
Sia chiaro: non sono un Doroteo, e quindi non fingerò di scandalizzarmi per la battaglia politica in atto. Rivendico di aver denunciato il disastro che si prospettava e che Anthony Barbagallo stava preparando, a partire dalla candidatura a Presidente di Caterina Chinnici, con tutto ciò che ne è derivato. Ritengo, inoltre, conclusa la stagione politica iniziata con l’assemblea regionale di Morgantina. Non si tratta di un giudizio personale, ma di una constatazione politica necessaria per avviare una riflessione.
Abbiamo perso male le regionali, arrivando terzi e senza la coalizione su cui tutto si era scommesso. Abbiamo subito una candidata presidente che ci ha lasciato per Forza Italia; siamo rimasti isolati politicamente, senza un’alleanza con i 5 Stelle e con De Luca che è tornato nel centrodestra. Abbiamo collezionato una serie di sconfitte amministrative senza nemmeno provare a sostenere davvero i nostri candidati sindaco. Ci siamo ritrovati con un solo seggio al Parlamento europeo e, oggi, non abbiamo alcuna prospettiva politica concreta per riaprire la partita in vista delle prossime regionali.
Tutto questo — e parliamo di fatti, non di opinioni, purtroppo — dovrebbe spingere Barbagallo a compiere un atto di generosità e a cedere il passo, anziché tenerci in ostaggio e costringerci a un confronto aspro. Con un passo indietro, toglierebbe dall’imbarazzo tutti noi, sé stesso e la segreteria nazionale.
A scanso di equivoci.
All’ultimo congresso ho votato Stefano Bonaccini, come la maggioranza degli iscritti al PD. Le primarie, tuttavia, hanno imposto una svolta, perché i nostri elettori vedevano in Elly Schlein la migliore risposta del PD a Giorgia Meloni & C. Hanno fatto bene e hanno avuto ragione, sia nei numeri che nella politica: da quel momento, il PD ha iniziato a crescere, perché ci siamo riappropriati dei nostri valori e delle nostre parole, senza la paura di non essere compresi. Questo è accaduto perché abbiamo adottato un linguaggio che parla a tutti: immediato, semplice e diretto.
Se si tornasse a votare domani, sceglierei Elly con la stessa convinzione con cui ho votato Stefano al congresso scorso, e non ho alcun timore nel dirlo apertamente. Mi fa tenerezza chi, invece, considera il sostegno alla segretaria “fin dalla prima ora” una sorta di passepartout che autorizza a interpretarne le volontà. Abbiamo già visto questo film con Matteo Renzi: non mancavano proconsoli, interpreti dell’autenticità del pensiero e “selfisti” di professione. Come è finita, è noto.
Elly va sostenuta perché Meloni governa il Paese e, dopo la vittoria di Trump, tutta l’Europa sta virando a destra. Non si tratta più dell’ennesima stranezza italiana, ma del rischio concreto che diventi il punto di contatto tra l’amministrazione USA e la destra sovranista in Europa. Mai come in questo momento c’è stato il pericolo di vedere crollare i pilastri che hanno garantito libertà individuali, pace e democrazia.
Elly va sostenuta perché, nonostante gli ottimi risultati del PD, il campo progressista è ancora troppo debole rispetto agli avversari. La costruzione del “campo largo” non può che essere guidata dal PD e dalla sua segretaria, che ha dimostrato di avere chiaro quale sia il percorso per tornare al governo del Paese.
Oggi Elly è la segretaria del PD, e il PD tutto deve sostenerla con entusiasmo e senza barocchismi.
C’è bisogno del PD
Il PD è essenziale. Lo è in Italia e, a maggior ragione, in Sicilia, una regione che sembra anestetizzata rispetto al malgoverno della destra. Siamo sempre più poveri, con migliaia di posti di lavoro persi ogni anno, una sanità al collasso, trasporti pubblici inesistenti, e molto altro. Gli “eccetera” potrebbero continuare all’infinito, perché in ogni ambito che tocca la vita dei siciliani si osservano arretratezza e disagio devastanti.
Tutto ciò è accompagnato da una rassegnazione preoccupante, accentuata da un’immensa perdita di capitale umano: l’emigrazione giovanile, che sommata al calo demografico, minaccia di trasformare la Sicilia in una terra senza futuro.
Il compito del PD è essere la forza propulsiva capace di riaccendere un sentimento di ribellione positiva allo status quo. Dobbiamo costruire movimenti di partecipazione popolare, essere presenti nei luoghi del disagio, e avere la capacità di essere occhi e orecchie anche dove non possiamo esserci fisicamente.
L’idea secondo cui “siamo tutti uguali” va respinta, evitando, come purtroppo accaduto in queste settimane, di offrire un racconto sbagliato del nostro lavoro in ARS. Una forza politica che ambisce a essere guida del governo regionale deve saper innescare contraddizioni negli avversari, limitare i danni prodotti dalle destre, e aiutare i nostri amministratori a dare risposte concrete alle loro comunità.
Invece, per piccole rendite di posizione, abbiamo raggiunto il paradosso: dopo l’approvazione della finanziaria regionale si è parlato del PD più che del Governo regionale.
Primarie o iscritti?
Abbiamo una base di iscritti che, in altre stagioni, avrebbe rappresentato una sola federazione. Pensare di celebrare un congresso che ci accompagni alle prossime scadenze elettorali riunendoci tra pochi intimi è pura follia.
Lo statuto siciliano prevede, fin dalla nascita del partito, una modalità ibrida per la selezione della classe dirigente: il 60% dell’assemblea regionale viene eletto dagli elettori e il 40% dagli iscritti. Personalmente, non sono mai stato un fervente sostenitore delle primarie come strumento per selezionare la classe dirigente, ma lo stato attuale del PD siciliano richiede un ampio processo di aggregazione e partecipazione, che non può che passare attraverso il confronto con gli elettori.
Sono proprio le primarie lo strumento che allontana il rischio di decisioni prese in tavolini, caminetti e stanzette. Chi le contesta oggi lo fa perché vuole stare in quelle stanzette.
Sarebbe utile celebrare primarie che consentano, finalmente, di costruire un albo degli elettori. Perché no? Questo albo potrebbe essere usato anche per selezionare i candidati delle liste bloccate, evitando così che la rappresentanza istituzionale venga decisa in qualche stanzetta romana.
A cosa serve il congresso
Alleanze, candidato Presidente della Regione e rigenerazione della classe dirigente siciliana. Il congresso sarà il punto di partenza del percorso elettorale: amministrative, regionali ed elezioni politiche. Veniamo da una stagione in cui gli errori commessi ci hanno relegato a una marginalità nel dibattito politico, che dobbiamo colmare con urgenza. Dobbiamo uscire dall’isolamento, recuperare credibilità e attivare meccanismi di mobilitazione elettorale.
Quando parlo di alleanze, non mi riferisco a una semplice sommatoria di ceto politico o al risiko che si attiva in ARS. Proviamo a costruire un rapporto con il civismo democratico: quello dei sindaci, dei tanti amministratori che animano migliaia di liste civiche attorno alle comunità locali e che, troppo spesso, non sopravvivono alla dimensione comunale. Partiamo da loro. Partiamo dalla società che, in queste ore, si è battuta per Cecilia Sala. Partiamo dai Pride che ogni anno colorano le strade delle nostre città. Partiamo dalle ragazze e dai ragazzi delle università siciliane, che spesso ci rappresentano nelle istituzioni accademiche a nostra insaputa, ricordandoci che il diritto allo studio e al lavoro sono temi ancora enormi.
Lavoriamo fin da subito alla costruzione di liste che non nascano dalle ambizioni individuali, ma da progetti collettivi. È un lavoro immane, ma esiste lo spazio politico per farlo. Non manca la credibilità del PD nazionale e, soprattutto, non manca la voglia di tanti di mettersi a disposizione di un progetto di ampio respiro.
Non penso di essere un romantico sognatore. So bene che dobbiamo fare i conti con una realtà durissima e ostile. Non ho soluzioni pronte, ma rifiuto l’idea della marginalità, del minoritarismo culturale e dell’immagine di un PD che va col piattino in mano a elemosinare compagnia elettorale.
Solo se rappresenteremo qualcosa di più grande di noi stessi, e smetteremo di guardare esclusivamente il nostro ombelico, potremo essere attrattivi anche per altri soggetti politici. Siamo arrivati terzi alle scorse regionali e questo è accaduto, al netto degli errori di chi ha gestito quella fase, perché non eravamo attrattivi per i siciliani. Ci siamo preoccupati di chi facesse il parlamentare regionale piuttosto che di chi avrebbe governato la Regione. Serve un netto cambio di rotta.
Dobbiamo buttare la maschera dell’antipatia e della politica del “sono tutti uguali”. È necessario riscoprire i valori che tengono insieme storie diverse, trasformandole in tessere di un mosaico più ampio.
Credo che all’interno del PD siciliano ci siano personalità con storia politica, etica e capacità per rappresentarci al meglio alle prossime regionali. Vorrei un partito che non si vergognasse della propria classe dirigente, ma che avesse la credibilità necessaria per candidarsi alla guida della Regione Siciliana. Basta con le invenzioni last minute. Abbiamo già dato.
Infine, il congresso dovrà mettere in campo, dai circoli fino al livello regionale, una classe dirigente capace, fresca e competente. Non sono mai stato, né sarò mai, attratto da selezioni basate sull’anagrafe o, peggio, da casting sui social. Conosco questo partito in profondità e posso affermare, senza timore di smentita, che esiste tanta classe dirigente spesso isolata o relegata ai margini, semplicemente perché sa fare politica. È un patrimonio che il partito ha dimenticato, preferendo affidarsi a “big” che diventano inizio e fine del proprio racconto, o peggio ancora, ai passeggeri di autobus della convenienza personale.
Non un nuovo partito, ma un partito nuovo
Un congresso che non dedichi buona parte del proprio dibattito alla forma del partito avrebbe poco senso. Siamo vecchi e continuiamo a immaginare il PD dentro una dimensione burocratica, che all’esterno nessuno comprende.
Il modello gerarchico dovrebbe lasciare spazio a un modello a rete, dove i nodi sono luoghi di incontro, sia interni che esterni. Un modello più semplice, snello e realistico, capace di invitare le persone alla politica, anziché selezionare chi può farla. Servono luoghi di incontro con gli elettori, che spesso si sentono estranei anche a casa loro. Superiamo questo gap e sfruttiamo le migliori strategie comunicative per risolvere il principale problema della militanza attiva: i tempi delle persone.
Epilogo
Ho scelto di scrivere queste riflessioni perché ciò che manca, in questo momento, è un luogo di confronto onesto tra di noi. Tutti quelli che vogliono bene a questo martoriato partito hanno il dovere di fare in modo che, tra una scazzottata e l’altra, possa emergere un po’ di politica. Sarebbe un passo utile per costruire un congresso più sereno, anche con opzioni diverse, e soprattutto più utile a noi e ai siciliani.